Tecnologie, competenze, progetti pilota ed esperienze virtuose non mancano: cosa occorre per organizzare una rete sanitaria nazionale di telemedicina? Dall’impulso dell’emergenza Covid-19 agli esempi internazionali, le possibilità di una e-Health tutta italiana
Intervista a Massimo Caruso
• Segretario generale Aisdet, Associazione italiana di Sanità Digitale e Telemedicina > aisdet.it
• Coordinatore nazionale Rete di Sanità digitale eSanit@
di Luisa Castellini
Cosa si intende per telemedicina?
Si tratta di una tipologia di assistenza medica che permette di controllare e monitorare diverse attività di natura specialistica usando piattaforme tecnologiche che permettono queste valutazioni senza che il paziente si sposti da casa o comunque da dove si trova. Si tratta di un universo molto ampio che comprende la teleassistenza, le televisite, il telemonitoraggio, la teleriabilitazione, la teleneurologia: in una parola, quello che indichiamo col termine di e-Health.
Quali sono i suoi punti di forza?
La telemedicina rinnova i modelli organizzativi dei processi di cura: è molto democratica, valorizza l’empowerment del paziente, introduce nuove figure professionali ed è molto trasparente.
A che punto siamo in Italia?
Si parla di telemedicina da vent’anni ma si tratta ancora di esperienze di nicchia. Prima del Covid, su impulso di un programma d’innovazione europeo, sono stati attivati circa 300 progetti ma il loro limite è stato di non essere entrati a sistema. Si tratta in primis di un problema culturale. Il mondo della sanità è molto diffidente: il timore è che la tecnologia oscuri o diminuisca l’empatia del rapporto medico-paziente. Si tratta di un pregiudizio che nasce da stereotipi molto radicati. Le soluzioni digitali dovrebbero essere viste come un sostegno e un alleato perché mettono a disposizione informazioni e soluzioni organizzative.
E nel mondo?
Dal punto di vista tecnologico e della routine sanitaria l’avanguardia della Telemedicina è in Israele con lo Sheba Medical Center di Tel Aviv. Anche gli Stati Uniti sono molto avanti. In Europa, il fronte più avanzato è in Francia, dove da due anni è in vigore una normativa unitaria che raccomanda alle aziende sanitarie di adottare la telemedicina.
Come ha influito la pandemia sulla telemedicina?
Il Covid-19 ha mostrato l’importanza di mantenere l’assistenza del paziente a casa, ad esempio per le visite ambulatoriali, la somministrazione farmaceutica e il ritiro dei referti. Grazie alle soluzioni di telemedicina, si è potuto tutelare il paziente e assicurare la continuità assistenziale. Ci sono poi esperienze nate per fronteggiare l’emergenza come la piattaforma Telecovid della regione Sicilia per monitorare i pazienti in quarantena e sottoposta al controllo delle USC. L’accelerazione innescata dalla pandemia, non essendo a sistema, ha però messo in luce l’aspetto caotico della telemedicina e quindi la diffusione a macchia di leopardo. Non ci sono ancora sistemi informatici maturi per sostenere i processi di telemedicina: servono architetture informatiche adeguate e coerenti e quindi investimenti.
Quali sono le premesse per un più ampio sviluppo?
Di recente la Conferenza Stato-Regioni, a fronte della situazione eterogenea, ha deciso di normare con specifiche tecniche e di processo la telemedicina.
Il problema non è “solo” l’introduzione di soluzioni digitali e di una tecnologia, ma inaugurare nuovi processi operativi che necessitano diversi modelli di sostegno. Si tratta di problemi normativi complessi, dove si incrociano integrazione, privacy e sicurezza. Telemedicina non significa un collegamento una tantum via Skype col paziente o una foto su whatsapp. Oggi abbiamo un uso non coerente della tecnologia per risolvere problemi immediati.
Quali sono i problemi pratici?
Il trattamento dei dati e della privacy, ad esempio. I dati devono confluire nel fascicolo sanitario elettronico ed essere consultabili da un ospedale all’altro e anche tra le Regioni e coi pazienti in sicurezza. Per questo è necessario un passaggio da un ambiente a un altro e quindi bisogna affrontare problemi di interoperabilità tra i sistemi preesistenti, considerando che la maggior parte sono sistemi chiusi. Ancor prima, occorre inserire la telemedicina in nuovi processi operativi per far sì che non sia solo un costo ma un investimento che apporti benefici.
Ci sono esempi virtuosi in Italia?
La Regione Puglia ha attivato una piattaforma di telecardiologia per migliorare la gestione delle emergenze e indirizzare le ambulanze. Queste sono dotate di un ECG portatile collegato con la centrale che verifica la natura dell’evento in corso e indirizza l’ambulanza. Sempre in Puglia, all’interno dell’Agenza Regionale della Salute, è stato creato un dipartimento di e-Health guidato da Ottavio Di Cillo, presidente della nostra associazione, per promuovere altri progetti. Un esempio di piena integrazione è quello dell’Ospedale San Raffaele a Milano, che ha una lunga tradizione di esperienze innovative: ha attivato una propria piattaforma per la telemedicina con un modello di televisita. L’ospedale ha un luogo fisico dove fare arrivare i suoi dati: dispone di un sistema informatico maturo che permette la condivisione delle cartelle cliniche tra reparti coi pazienti. A livello di Sistema Sanitario Nazionale non c’è ancora questa maturità.
Fonte: rivista Pharma Magazine Febbraio 2021
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